Io, il vostro amato cronista Barabba, sono ancora fuori. Ammetto che questo ha influito negativamente sulle mie presenze, anche perché, se è già difficile convincere la propria metà che è giusto non vedersi perché dovete giocare, è assai più arduo riuscirci dicendo «Tesoro, ma perché invece del cinema non andiamo a vederci una squadra di seghe dal cuore immenso affrontare una squadra di seghe?». Dunque, non sono andato (rinunciando al mio risaputo, milionario gettone di presenza). Mentre mi accingevo a scrivere una straordinaria pagina di letteratura – come si intrecciavano gli aggiornamenti via WhatsApp e la mia conversazione (tipo un “siamo sotto di sei a fine secondo quarto” proprio mentre stavo dando la mia opinione su una nuova federa da divano) – mi ha salvato Peppe. Sì, Peppe. T’oo ricordi Peppe? Comunque, mi ha mandato questo bellissimo resoconto, con tanto di indicazioni per le immagini. Benché offeso per la mancanza di fiducia, lo pubblicherò, lo firmerò e incasserò il danaro (daje, la fisioterapia costa un botto). Ma mi riservo di integrare con dei commenti, che saranno distinti dall’originale.
Si capisce che non è una sera come le altre dalle figure presenti all’esterno del campo, gente che nella vita ne ha viste tante, ex portuali, cuochi punk di thatcheriana memoria, ragazze madri con figli al seguito, quella classe operaia che ancora non è andata in paradiso, nonostante leggi borghesi dai nomi esotici.
Dicevamo, arrivi al campetto e ti imbatti in queste figure (er Pirata, Er Cuoco, ….) , tutte intente nei propri traffici, più o meno leciti (ma come possiamo noi definire cos’è legale e cosa no?!?) e capisci che il pubblico è quello delle grandi occasioni. Una volta dentro, l’odore del parquet ammuffito, misto a quello del metallo arrugginito delle gradinate, della gomma sintetica dei palloni e del panino ignorante del tifoso occasionale, inebriano gli All Reds che, dopo un riscaldamento fatto con la vitalità di un becchino, si apprestano a scendere in campo con occhi di tigre e animo di partigian!
«Ahò, daje, partimo forti, a questi gliè je damo 10 punti alla fine del primo quarto» (dovete scusarlo, al poro Peppe: è debole sul romano perché è forestiero)
È questo il mantra che si ripetono i fantastici 5 a pochi secondi dall’ingresso in campo.
“Partimo forti”: un Kosmo indiavolato, con lo sguardo spiritato e il cuore infranto per l’assenza del Matteuzzi, occupa ogni centimetro del campo con le sue progressioni e i suoi cambi di ritmo. Lorenzino nel frattempo, avendo fatto proprie le parole di incitamento del capitano e intenzionato a lasciare un segno prima della sua migrazione a nord (MIGRAZIONE?! Perché nessuno m’ha detto niente? Ndo vai? Chi ci preparerà i drink?), decide di far valere il suo nomignolo di “bombarolo” e inizia a sparare da tre ad ogni azione (domanda retorica: quanti ne segna?). Una difesa spietata sul 9 avversario fa il resto. Finisce il primo quarto: 10-14 per gli avversari. Ma come 10 a 14?!!? E i buoni propositi di inizio gara?!?! E il “gliè je damo 10 punti?!?!”. È un tracollo: finiamo il periodo con uno 0 su 5 da tre e con un misero 10% al tiro da due (ah ecco). Senza contare le decine di palle perse e i banali errori da sotto. Tutto troppo brutto per essere vero. La squadra torna in panca attanagliata dalla paura di vincere e sconvolta dalla quantità di errori commessi: roba che nemmeno la delegazione palestinese alla firma degli accordi di Oslo.
Nel secondo quarto, purtroppo per l’Armata Rossa, la musica non cambia. I tifosi sono ammutoliti, gli errori si sprecano e la tensione attanaglia. Finiamo il primo tempo sotto 17-23. È una disfatta. I volti contriti dei nostri eroi e i ricordi di tante partite finite allo stesso modo e di tante occasioni buttate in passato per gli stessi errori fanno il resto. Ci si prefigura un finale di campionato simile a tanti altri del recente passato: calo psicofisico, filotto di sconfitte, allenamenti deserti, morale sotto i tacchi e ultimi posti garantiti (l’unica cosa che c’avemo sempre garantita!). Le sedute psicoanalitiche dal dottor Fle e le dettagliate disamine tecnico-tattiche del suo assistente Barabba sono lo spettro che s’aggira per la panchina, oltre che per la mailinglist; deja vu di tempi grami che si pensava esserci lasciati definitivamente alle spalle.
«Semo come la Roma, rigà: partimo sempre a bomba ma poi alla prima sconfitta crollamo, insieme al progggetto e alla rivoluzione proletaria» (cazzo quant’è vero)
Per fortuna c’è il terzo quarto da iniziare e non c’ è più tempo per le pippe mentali.
“Quintetto lungo”: 2 parole e 14 lettere proferite dal coach Fle, che lasciano sbigottiti i rossi atleti. Caciara, Simone, Piscina, Lucone, Insolia: centimetri, stazza fisica e qualità per provare a ribaltare la situazione. È la scossa!
Mentre Peppone, il barbuto brigante dell’Appennino campano, tra una difesa arcigna e un recupero palla, non perde occasione per ricordare ad alta voce le difficoltà degli avversari “sono cotti, sono cotti è il momento di finirli” (modesto! E dimmi, anche la penicillina è opera tua?), Fede Scolochini passa più tempo in aria che in terra: ti giri, guardi in alto e lo vedi volteggiare, intento a tirare giù rimbalzi manco fosse un raccoglitore di mele del kolchoz di Novosibirsk in piena economia pianificata.
Lucone, annoiato dalla monotona difesa a zona avversaria, inizia a farsi sentire sotto canestro con stoppate, rimbalzi e canestri fondamentali. Oltre alla solite dose di coccole e carezze riservate all’avversario di turno.
Er Piscina, col pensiero ancora al baretto sul lungomare di Copacabana – la più nota spiaggia di Gaeta, decide di svegliarsi e di iniziare a macinare contropiede, canestri e difesa di qualità.
Caciara, ancora sotto l’effetto di antibiotici naturali a km 0 venduti al mercatino bio del suo quartiere, continua a difendere in maniera commuovente sul 9 avversario, massimo esempio di individualismo capitalistico che tanto aborriamo, annullandolo con 2 stoppate degne del miglior Mutombo e con una attenta gestione in cabina di regia, condita da qualche bel piazzato dalla media, nuova specialità della casa.
Infine lui, l’oriundo che tutti ci invidiano, il marchigiano prestato alla causa rossa, il massimo esponente della teologia di liberazione versione dub, Simone “Oscar Romero”, l’Arcivescovo reggae de Macerata. Che, con la Santissima Pasqua alle porte, forte del suo cognome, decide di guidare la resurrezione della squadra, dopo la via crucis dei primi 2 quarti. Un paio di eleganti piazzati dai 5 metri, qualche terzo tempo in contropiede à la Datome, una bomba tanto per gradire e tanta trance agonistica che, in pochi minuti, porta la squadra da un meno 5 a un più 17 (!!!). È l’apoteosi: scene di giubilo e gaudio, squadra avversaria annichilita, tiri che iniziano ad entrare e partita che viene gestita con intelligenza, dal ritorno in campo dei due eroi silenziosi, i Camilo Cienfuegos del collettivo rosso: Andrea “Rocco” Ingolia e Tom Tom Viterbo, l’unico in grado di guidare la squadra fuori dalle sabbie mobili di una immeritata (E immotivata) sconfitta, con la sua difesa di qualità, i suoi tiri dalla lunga e il suo lavoro silenzioso a ricucire e risistemare gli strappi di una squadra ancora poco abituata a vivere nei piani alti della classifica. Che dire di Ingolia invece? Ennesima scommessa vinta di coach Fle (sì, quello del quintetto lungo) che nella sua nuova posizione in campo sta ritrovando una seconda giovinezza fatta di punti pesanti, qualità e tanta sostanza. Una roccia! Come diceva mio nonno, i frutti migliori sono quelli più difficili da vedere (o era da raccogliere?!?!). Dicevamo dell’apoteosi, delle bandiere rosse, dei pugni chiusi, degli abbracci: è stata una vittoria di squadra, di un grande gruppo che non si è mai disunito, di spirito di abnegazione, di aiuto reciproco, del lavoro collettivo. Il sol dell’avvenire (e dei playoff) è ora più vicino.
MVP: Al netto di Scolozzi/scolochini che è MVP a prescindere per il solo fatto di esistere, direi Caciara e Simone Datome.
Menzione d’onore alla lucidità e all’impegno profuso da Ivan e Gabriele al tavolo di gara e per Adriano in panca.