(Algarve Basket – All Reds)
Algarve, we’re back! Va in scena quello che è a tutti gli effetti il Superclasico del basket amatoriale romano. Quante volte siamo venuti a giocare qui al Torrino, nel leggendario impianto dell’Algarve? Boh, tipo cinque, che per questo livello è veramente tanto.
Motivati come non mai, i nostri Rossi si schierano per il riscaldamento. Ora, per le altre squadre, questo è un momento in cui ci si sciolgono i muscoli e si prende confidenza con i canestri, operazione quanto mai cruciale quando si è in trasferta. Per la squadra in maglia rossa («Oh, ma che siete comunisti?», ci chiede l’arbitro. Ammazza, non ti si può nascondere niente!), invece, questo è il momento della più inefficace haka dello sport moderno. Tenendo fede al proprio nome – scherzosa antitesi del nickname dei neozelandesi del rugby – la sezione basket della gloriosa polisportiva All Reds evita scomposte danze maori: meglio, molto meglio dimostrare ai propri avversari che, anche senza difesa, fare canestro da più di due metri è ancora più utopia del socialismo di Babeuf.
Palla a due. Vinta. E, per stasera, stiamo a posto così. Che poi stavolta non c’è neanche da fare tanto gli spiritosi, fare battute sulle palle perse o sulle percentuali al tiro: giochiamo benino – certo, le percentuali sono quelle di un ipovedente che lancia cocomeri in un ditale da cucito – e difendiamo bene, ma perdiamo. Capita, è lo sport. Niente risse, niente scazzi. Oddio, un paio di storie tese ci sono quando il biondo alfiere della rivoluzione («Con il numero otto, The Captain and the Truth…») trova qualcosa da ridire contro l’altro “lungo” in quel momento in campo (di cui terremo segreto il nome per tutelarne la privacy e per insultarlo più liberamente) circa il suo impegno. Qualcosa tipo «OOOOOOH, PORCOXXXXIO (e, sì, le “x” sarebbero tutte “d”)». Ma non fa niente per due motivi:
1) Almeno stavolta non rischia di ammazzare un avversario.
2) Da che mondo è mondo, i giocatori migliori, incazzandosi con le pippe, le fanno rendere meglio. Non sarà un principio degno dell’egualitarismo rivoluzionario che propagandiamo fuori dal parquet, ma è un pilastro dello sport (chiedere per conferme a Garnett, Kevin Maurice, 100 Legends Way, Boston, MA. Telefonare ore pasti, no perditempo che sennò vi mangia la testa). E, a fine partita, a doversi scusare è la pippa, non chi glielo fa notare, al di là di qualsiasi considerazione sul modo in cui la ramanzina è arrivata. Perché è lui a vanificare il lavoro di tutta la settimana, e non l’altro.
Insomma, finisce così. Il pubblico (cinque spettatori) più o meno si diverte, anche se neanche Dan Peterson potrebbe spiegarci perché, quando si incrociano le strade tra noi e l’Algarve, i punteggi si dimezzano, e non si va mai sopra gli 80 combinati. Bella partita, ma partita persa. Alleniamoci di più, trabajo y sudor, работа и пот, e venceremos, славу пролетариата и партии.
Più o meno è quello che ci siamo detti, dopo la partita, davanti alla palestra dell’Algarve, dopo aver mangiato una teglia di tiramisù – grazie Laura! – e fumandoci la classica sigaretta del dopopartita (quando si dice la professionalità!): oggi è andata male, ma siamo una squadra nuova, che per i ben noti problemi di bilancio può allenarsi poco. Stiamo crescendo, continuiamo così e le cose andranno meglio.
Alcuni lo chiamano “fare gruppo”, altri “huddle”. I Celtics lo hanno chiamato “Ubuntu” e ci hanno vinto un anello. Magari se gli troviamo anche noi un nome fico battiamo la Bnl.
C’mon Reds!
ALGARVE 39 – ALL REDS 32